Esattamente una settimana fa gli studenti scendevano in piazza per manifestare a favore di una presa di coscienza, ecologica e ambientalista, della situazione critica in cui viviamo e in cui siamo destinati a vivere se non invertiamo la rotta. Saranno loro i primi a dover pagare lo scotto di un disastro creato dalle generazioni precedenti, e saranno loro (ma non solo, cavoli, e noi, oggi, dove siamo?!) a dover effettuare quel cambiamento che serve per invertire la rotta. So che alcuni hanno preso posizione contro l’iniziativa. Chi la ritiene inutile, chi semplicistica, chi buonista. C’è anche chi la ritiene addirittura fuorviante, perché le informazioni sui cambiamenti climatici veicolate non sono corrette, perché sono allarmismi inutili… Dal mio punto di vista invece è stata una grande cosa. Non solo per il messaggio e la mobilitazione, ma per l’eco che questo messaggio ha prodotto.
Il primo effetto di quella manifestazione infatti, e sottolineo che non è affatto cosa da poco, è stato quello di riempire la rete di post e articoli ambientalisti. Ma non solo. Anche le conversazioni nella “real life” si sono spostate, per una settimana, dal calcio e dalla politica da bar, a quella ragazzina svedese e alla sua lotta per un mondo migliore. Certo non si parla solo di quello, ma è come se in ogni 10 minuti di conversazione, prima o poi, un accenno alla questione ambiente si debba fare.
Davanti alla scuola delle mie figlie si parla tra genitori di risparmio idrico ed eliminazione della plastica: i nostri figli sono tornati a casa dopo la marcia per il paese con un sacco di idee e le hanno condivise a tavola e adesso alcuni iniziano a vedere il distributore di acqua gassata comunale, prima ignorato, come una risorsa per eliminare le bottiglie di plastica dalla tavola! Nella sala d’attesa del medico di famiglia sento discutere del traffico esagerato e di come sarebbe meglio arrivare a piedi invece di prendere sempre la macchina: “Che tanto per girare mezz’ora a trovare parcheggio ci metto di meno a fare 500 metri a piedi!”. Mentre aspetto il verde al semaforo per attraversare la strada, sento parlare di pannelli solari ed energie alternative. Due signore di mezza età, con la borsa della spesa del mercato in mano: “Perché se non piove e c’è sempre il sole e c’è questo caldo, almeno possiamo sfruttarlo per ridurre l’inquinamento, sai che adesso pannelli iniziano ad essere convenienti qui da noi?”. E in un secondo il classico e trito discorso sul tempo vira, sbanda e si incanala in una discussione sulle rinnovabili. Al semaforo, dico, non in un ateneo!
Penso che questo effetto sia grandioso e penso anche che andrebbe amplificato e reso il più duraturo possibile. Già perché anche l’eco, prima o poi, tende ad esaurirsi se non trova aria, e vuoti, e pareti su cui rimbalzare. Si affievolisce, si allontana e poi scompare. Così come rischia di scomparire l’entusiasmo per il cambiamento, i buoni propositi di noi tutti. Penso che sia nostro compito continuare a raccontare la storia del cambiamento che stiamo cercando di effettuare, quell’inversione che ancora (forse) ci potrebbe salvare. Parlarne raccontando storie, le nostre storie. Storie di impegno quotidiano, di piccoli gesti che possono fare la differenza, perché sommati ad altri miliardi di piccoli gesti. Storie di piccoli cambiamenti, che però portano grandi conseguenze se portati avanti per tempo. Questo sarà il mio impegno e invito anche a voi che leggete a fare altrettanto: non smettiamo di parlarne, non lasciamo che l’eco di queste idee si spenga nel vuoto.